IL MATRIMONIO A SOLICCHIATA NEI TEMPI PASSATI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Il matrimonio, oggi, per la nostra società è un fatto culturale che si caratterizza come vincolo legale, oltre che affettivo, fra due persone che intendono creare una famiglia.  del matrimonio, così come oggi la nostra società lo intende, possiamo dire molto. Sia sotto il profilo sociale che sotto il profilo giuridico, morale, religioso, ecc. Ma, è inteso così dai popoli di cultura diversa dalla nostra? E’ stato sempre così, per noi? Come e perché il matrimonio ha assunto i contenuti e le forme che gli attribuiamo? Nel  corso dei secoli ci siamo abituati alla morale cristiana che considera il matrimonio la costruzione di una famiglia. Sotto altri aspetti, il matrimonio e la famiglia sono visti da noi come fatti naturali finalizzati alla procreazione, come sbocco ai sentimenti affettivi fra l’uomo e la donna. Fino alla prima metà di questo secolo, per tutta quanta la Sicilia il matrimonio era un fatto culturale che, prima ancora che i singoli, riguardava il gruppo sociale. I protagonisti del matrimonio erano la famiglia, da parte masculina (il casato dello sposo) e la famiglia, da parte fimminina (il casato della sposa). Per  effetto del matrimonio, fra l’altro, tra le due famiglie contraenti si stabiliva ( si stabilisce ancora) il comparatico: Il padre dello sposo e il padre della sposa diventavano compari; la madre dello sposo e la madre dalle sposa diventavano comari. Il matrimonio, inoltre, istituzionalizzava la distinzione e la complementarità dei ruoli maschili e femminile definiti e consolidati dalla tradizione: la donna partorisce, alleva e cura i figli, amministra la casa; l’uomo provvede al sostentamento della famiglia, la protegge e ne tutela il prestigio.  Da alcuni decenni, però, e per certi aspetti, questa distinzione di ruoli va sempre più sbiadendo, talché una netta distinzione oggi è difficile. E’ il caso di precisare che, in passato, la distinzione e la complementarità dei ruoli maschili e femminile venivano delineati, definiti ed affermati fin dall’infanzia. Le ragazze, infatti , non giocavano coi ragazzi. La tipologia dei giochi femminili era diversa  da quella dei giochi maschili. Le ragazze fin da piccole venivano educate ai lavori domestici, al cucito, al ricamo; i ragazzi, invece, seguivano il padre nel lavoro dei campi, nella cura del bestiame, nella pesca, nell’artigianato. Con la crescita, la distinzione si definitiva e si affermava sempre più: una ragazza da marito era tanto più un buon partito quanto più era solerte, parsimoniosa e, soprattutto, riservata. Il cerimoniale del matrimonio di allora era ben diverso da quello di oggi, e tuttavia caratterizzava una fase evolutiva della forma più arcaica nella quale il ruolo dei contraenti diretti era marginale, dato che gli autori assoluti erano i padri delle rispettive famiglie. Il matrimonio, dunque, era un patto voluto da due famiglie, prima ancora che dai contraenti diretti. Quando una famiglia decideva di dare moglie al proprio figlio considerava le diverse possibilità compatibili col suo stesso ceto; ne valutava il prestigio sociale, lo stato di benessere, l’onesta, la riservatezza delle figlie, e sceglieva quella che a suo avviso era il partito migliore. L’approccio avveniva sempre per vie indirette. La famiglia  del giovane, per interposte persone e con molta discrezione, chiedeva informazioni sulla ragazza. Solidamente si serviva di persone fidate del vicinato, degli amici comuni alle due famiglie, dei parenti: bisognava ridurre al minimo il rischio del rifiuto e, ancor più della divulgazione di esso; perché il rifiuto della proposta di matrimonio ledeva il prestigio della famiglia richiedente e sminuiva la reputazione dell’interessato diretto: dal quel momento, l’una e l’altro venivano esposti al severo giudizio della collettività e, spesso, accusati di presunzione, derisi, oppure commiserati. A questo punto, i genitori della ragazza, accogliendo la proposta, si riservavano di dare una risposta, nei modi e nei tempi dovuti. Il primo incontro avveniva nella famiglia della ragazza. Per tale incontro, la famiglia della ragazza, invitava, oltre che la famiglia del pretendente, i propri parenti più stretti. In tale occasione non si esplicitava lo scopo dell’incontro; non si parlava di fidanzamento né, tanto meno, di matrimonio: si parlava del più e del meno; si scambiavano considerazioni, convenevoli;  si osservava l’ordine e il decoro della casa; si valutava l’ospitalità; si soppesavano le parole e gli atteggiamenti. Il ruolo dei diretti interessati non era primario: fra essi, che sedevano lontano l’uno dall’altra e ciascuno assieme col proprio gruppo familiare, non ci doveva essere dialogo, i loro sguardi non si dovevano incontrare mai. Eppure, molto spesso, per essi, quello era il primo incontro diretto. Da quel momento, fra i rappresentanti delle due famiglie, si stabiliva il dialogo esplicito e si fissava la data del fidanzamento.  La cerimonia avveniva normalmente in casa della ragazza e alla presenza dei familiari e dei parenti stretti di ambo le parti. Per l’occasione, la famiglia della ragazza preparava dei dolci e dei liquori, e la famiglia del pretendente preparava l’anello di fidanzamento, che doveva essere consegnato in quella stessa data e con un cerimoniale ben preciso. La cerimonia del fidanzamento era festosa. Fra tutti i partecipanti si instaurava subito un rapporto accondiscendente e cordiale: si esaltavano le virtù di ciascuno e di tutti; si dichiarava, senza ostentazione, la dote che ciascuna parte si impegnava ad assegnare agli sposi e il padre della ragazza concedeva al fidanzato e a tutta la famiglia di frequentare la sua casa, nei limiti della consuetudine . Durante la stessa cerimonia avveniva la consegna dell’anello. Dal quel momento, il fidanzamento diventava ufficiale. Il fidanzato si recava in casa della fidanzata solidamente di sera ed alla presenza dei genitori di lei. Durante la visita, che non doveva protrarsi al di là della convenienza e della buona educazione, i due fidanzati potevano dialogare, ma non potevano sedere l’uno vicino all’altra; né potevano essi stessi trattare le condizioni e le modalità del loro matrimonio: le scelte e le decisioni dovevano essere concordate dai loro genitori. Poteva anche darsi che l’unione non ricevesse il consenso dell’una o dell’altra parte e i due giovani decidessero di sposarsi anche contro il parere dei genitori. In tal caso essi progettavano ed attuavano a fuitina (che dir si voglia, la fuga): eludendo il controllo dei genitori, la ragazza fuggiva di casa col suo pretendente. A fuitina era disapprovata dalla collettività e offendeva le famiglie direttamente coinvolte, specialmente  quella della  ragazza: era un atto che ledeva l’onore ed il prestigio di tutto il casato. In tal caso scattavano immediatamente le minacce e le rappresaglie: i familiari dell’una esigevano dai familiari dell’altro l’impegno di sanare l’offesa col matrimonio immediato. Capitava anche che la famiglia del giovane strumentalizzasse il fatto per ottenere condizioni più vantaggiose o il soddisfacimento di richieste precedentemente negate.  I punti di forza della trattativa matrimoniale  erano l’onestà della donna e la roba. Con la  fuitina, l’onesta della donna veniva di fatto spesa a vantaggio dell’uomo; per cui il prestigio della famiglia della ragazza risultava offeso, mentre quello della famiglia del giovane risultava intatto, se non addirittura avvantaggiato. Poteva anche darsi che la  fuitina fosse l’extrema ratio dello stato di indigenza di entrambe le famiglie. Ogni matrimonio, si sa, impegnava anche finanziariamente le famiglie dei due contraenti: il loro prestigio, il loro stato economico risultano esposti al giudizio della collettività. Le spese, sia pure modeste, del trattenimento, degli abiti, degli annessi cerimoniali possono, per loro, essere insostenibili: il ricorso alla  fuitina, per quando umiliante, risulta l’unica soluzione possibile. In caso del genere, l’accordo fra le due parti veniva preso nel più assoluto riserbo. Il patto definito e concordato in tutti i particolari impegnava entrambe le parti alla lealtà e alla segretezza: si trattava di simulare un rapimento, un sequestro di persona. Generalmente la fuitina si concludeva col matrimonio che sanava il danno e sedava la vertenza; ma in questo caso il matrimonio veniva celebrato in forma strettamente privata: la sposa non poteva indossare l’abito bianco, simbolo di castità, di verginità, e la funzione religiosa si celebrava quasi sempre con la prima messa del mattino, alle cinque, con la sola presenza dei testimoni e dei genitori. Per il trattenimento nuziale si allestiva sempre il pranzo per tutti gli invitati. La festa si articolava in momenti distinti della stessa giornata: la mattina tutti quanti partecipavano alla cerimonia religiosa, in chiesa, e al rinfresco che veniva offerto subito dopo, in casa della sposa; il pomeriggio si riprendevano i festeggiamenti con danze e canti e si distribuivano altri dolci, liquori e i confetti. Questi ultimi, i confetti, venivano distribuiti dagli sposi stessi  cù cuppinu (col mestolo).  I dolci tipici del matrimonio si preparavano in casa. Per l’occasione si chiamava una donna particolarmente esperta nell’arte dolciaria tradizionale.

                                                                                                    Gaetano Bonaventura