Tutti gli anziani di Solicchiata ricordano quando i grandi proprietari della zona come la Baronessa Musumeci o i Sardo o gli Abate o i Ferro o i Tuccari o i Di Carlo o i Camardi coltivavano le loro sciare a grano, la dove ora a stento cresce l’erba.
Allora d’estate si era costretti a lavorare sotto il sole cocente a fare i “Cinnirazzi” (un modo particolare di lavorare la
terra in questa zona), per concimare il terreno e ottenere cosi maggiore raccolta. Veniva poi luglio e si mieteva. Il proprietario ricco portava via ogni cosa richiedendo anche la semenza per l’anno successivo.
Al povero contadino non restava niente ed era costretto a mangiare legumi o pane di fave, di granoturco, oppure pane di “imanna”. I ricchi invece nuotavano nell’abbondanza e magari raccomandavano al povero di mangiare meno per tenersi leggeri, perché il cibo eccessivo poteva far male alla loro salute. A volte spesso il padrone proibiva severamente anche di raccogliere i frutti dell’albero perché cosi egli voleva, poi magari cadevano a terra e marcivano.
Fare la legna per il forno o per riscaldarsi durante l’inverno o per cuocere un po’ di verdura, o di legumi non era cosa facile. Le ginestre o le “alastrè spinosa ” (pianta tipica del territorio della zona), costituivano legna pregiata, e quando si trovano dovevano essere portate a spalla per parecchi chilometri.
Non di raro poi venivano fra i contadini stessi liti interminabili per un pezzettino di sciara, per una frasca per un quadrante di terra, dove a stento potevano essere seminati pochi chicchi di grano. Lottavano, litigavano, ma il terreno non era proprio. Il loro accanimento era dovuto all’essere cosciente che con quel piccolo quadrante di terra potevano sfamare un giorno di più la propria famiglia. I cibi erano da poveri, la carne a tavola era quasi inesistente.